Stéphane Braunschweig firma la regia di “La vita che diedi” di Luigi Pirandello, in scena a Bologna
La vita che ti diedi, uno dei testi più struggenti di Luigi Pirandello, è il nuovo spettacolo del regista francese Stéphane Braunschweig, in scena in questi giorni a Torino, per poi arrivare a Pesaro e Bologna. (Qui le date)
Stéphane Braunschweig, tra i principali registi della scena teatrale contemporanea e direttore artistico dell’Odéon – Théâtre de l’Europe di Parigi, approfondisce il legame con la scrittura di Pirandello: dopo i successi internazionali di Vestire gli ignudi, Sei personaggi in cerca d’autore, I giganti della montagna, Come tu mi vuoi dirige questo nuovo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Torino in collaborazione con ERT - Emilia Romagna Teatro.
Scritto nel 1923 per Eleonora Duse, profonda interprete del teatro moderno, La vita che ti diedi è una delle opere emotivamente più intense del drammaturgo siciliano sul tema della maternità e del lutto, che il regista francese affida a due grandi attrici della scena contemporanea, Daria Deflorian e Federica Fracassi.
Il bisogno di teatro per affrontare la vita
La vita che ti diedi, breve tragedia in tre atti che fa parte del periodo creativo di Pirandello definito del “teatro nel teatro”, è il percorso teatrale iniziato dal celebre autore con tre racconti scritti tra il 1914 e il 1916: I pensionati della memoria, in cui si interroga sul rapporto fra i vivi e i morti; Colloqui coi personaggi, scritto dopo la morte della madre, ed è un lungo dialogo con la defunta; La camera in attesa, scritto durante la Grande Guerra, in cui la madre e le sorelle di un soldato scomparso continuano a preparargli la camera in attesa del suo ritorno.
Il rifiuto del lutto è dunque alla base del lavoro scritto per la Duse, che morì senza poterlo interpretare, e fu sostituita da Alda Borrelli alla prima del 12 ottobre 1923 al Teatro Quirino di Roma. La vita che ti diedi è un dramma pirandelliano incentrato sul tema del distacco, dell'amore materno incondizionato, tema ricorrente nel teatro del grande drammaturgo e coniugato con l'ossessione del cambiamento del figlio.
Il tema provoca profonde riflessioni e coinvolge, nel suo svolgimento, altri elementi tra i quali il senso della memoria, il valore della consuetudine, il sentimento della lontananza, il trascorrere del tempo.
La pièce è la storia di una madre al cospetto col più inesprimibile e tragico dei dolori: la perdita di un figlio, lontano da casa per sette anni.
“Come può una madre sopravvivere alla morte del figlio?” si chiede l’autore. Semplicemente affermando che non è morto, o più esattamente, fingendo che sia ancora vivo.
Attraverso un intricato intreccio di realtà e finzione la madre del defunto si rifiuta di accettare la morte del figlio, mantenendo viva la sua presenza attraverso un dialogo continuo con la sua assenza fisica, di fatto cerca di esorcizzare la morte del figlio negandola.
Afferma Braunschweig: “Pirandello fa vacillare le nostre certezze, i nostri preconcetti: malgrado sappia che la realtà finirà per mettere fine all’illusione, ci fa capire quanto abbiamo bisogno di illusioni – ma di illusioni coscienti e non delle menzogne che ci raccontiamo – per restare in piedi. Quanto abbiamo bisogno di teatro per affrontare la vita”.
Una favola poetica e delicata sul dolore
Il direttore dell’Odéon frequenta da tempo il corpus teatrale di Luigi Pirandello evidenziandone la modernità della forma e dei contenuti.
Scrive Braunschweig: “Nell’opera di Pirandello, la realtà della vita appare spesso come uno scandalo insuperabile, che il teatro o la follia hanno lo scopo di trasfigurare. Nel mondo immaginario del gioco teatrale o in quello parallelo della follia si può evadere, elevarsi, far vivere i morti e sfuggire alla logica paradossalmente mortifera della vita. In Pirandello, teatro e follia sono legati. Spesso i grandi personaggi pirandelliani sembrano pazzi a chi li circonda, ma, contrariamente ai veri pazzi, la loro è una pazzia voluta, la pazzia di chi vuole essere come i pazzi, e, al pari loro, rifiuta i limiti di una realtà ridotta alla sola verità dei fatti. […]"
L’impronta di Braunschweig eleva questa narrativa con una regia che sottolinea il conflitto tra la realtà cruda e l’universo delle illusioni create per sopportare l’insopportabile.
Nel mondo immaginario del gioco teatrale o in quello parallelo della follia si può evadere, elevarsi, far vivere i morti e sfuggire alla logica mortifera della vita.
Secondo il regista francese La vita che ti diedi uguaglia i grandi capolavori di Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Come tu mi vuoi e I giganti della montagna, ma si presenta sotto le sembianze di una favola poetica e delicata che va all’essenziale: magistrale nell’opera la centralità di un dolore che non sente l’esigenza di urlare.